E' sulle Ramblas la terra
promessa dei giovani italiani
promessa dei giovani italiani
Un'immagine di giovani lungo la rambla di Barcellona INFOGRAFICA Barcellona e Italia, prezzi a confronto |
Poca burocrazia, molte possibilità, prezzi accessibili
La nostra è diventata la seconda comunità di Barcellona
GIULIA ZONCA
BARCELLONA
La nuova America è vicina e calda, tiene i suoi sogni a portata e li vende benissimo. Basta un volo rapido e dall'Italia arrivi dentro quella che per molti, oggi, è la terra delle opportunità: Barcellona. La sua Ellis Island sta a Barceloneta, sempre vicino al mare, ma questo edificio in restauro, al numero due di Avenida Marques de l'Argentera, è un porto più sicuro e semplice, tanto che non è mai diventato un simbolo. E' un passaggio obbligato che non lascia memoria: una mattina di coda ed esci dall'Aministration General de l'Estero, con tutto quel serve per vivere dove 21.655 italiani hanno scelto di stare. Tre pezzi di carta per un altro inizio ed è uno dei motivi per cui questa è la città prescelta: la burocrazia è quasi inesistente. Serve l'empadronamiento, il domicilio, il numero di securidad social e il Nie, il foglio di via per l'avventura spagnola. E' il numero di identificazione per gli stranieri, necessario per aprire un conto in banca, dimostrare che esisti, un codice e non servirà più altro. In meno di un'intera giornata sei in regola e lo resterai perché da queste parti anche l'ultimo impiego in un call center è contrattualizzato.
Stipendi bassi e ferie retribuite, il licenziamento arriva altrettanto facilmente perché il datore di lavoro deve solo dimostrare che non servi più all'azienda. Però nel frattempo puoi permetterti qualche giorno di malattia senza perdere il posto. E' il primo passo, quello dopo lo sbarco di chi ha scelto Barcellona per la fiesta loca, chi ha vent'anni e strascica l'Erasmus vendendo aspirapolvere al telefono e servendo cerveza nei locali del Born, il quartiere che Fabio Volo aveva scelto come base per il suo programma su Mtv, «Italo-spagnolo». La manodopera serve nella città che ha ancora un boom da gestire e si sente Milano negli Anni Ottanta, senza Craxi e la rucola. La Catulunya è la Lombardia della Spagna, gente che lavora e rispetta le carreggiate, ma l'analogia, che pure i locali ripetono a qualsiasi italiano inizi a integrarsi, finisce sulla porta dell'ufficio perché lì c'è la vera magia del posto. Non la movida, che inizia ad annoiare pure loro, non il pan con tomato, la bruschetta autogestita che ti portano al tavolo con gli ingredienti ancora separati, ma la rete di sostegno che permette a una ragazza che ha perso il lavoro di trovarne un altro in un pomeriggio.
Ella Sher ha una storia perfetta per spiegare come mai l'ultima migrazione di italiani a Barcellona, quella archiviata come record dall'ultimo censimento del 2008, è fatta di neolaureati, forza vitale che si sente più sicura altrove. Ella, a Milano, era precaria alla casa editrice Adelphi, prestigio, eleganza e zero possibilità. Dopo stage e collaborazioni ha chiesto: «Quali sviluppi per il mio futuro qui?». Nessuno. E allora Barcellona, con in tasca un corso di lingua all'Istituto Cervantes. L'idea e i primi indirizzi sono arrivati da un'amica conosciuta alla fiera del libro di Francoforte: «Ho avuto aiuto, però ho spedito il curriculum e ottenuto 9 colloqui in un solo giorno e un contratto di 6 mesi da trasformare in definitivo dopo il periodo di prova. Poi mi sono sentita dire: mi dispiace, non abbiamo più bisogno. Solo che non ho fatto in tempo a starci male, nel giro di due mail avevo un nuovo posto». Oggi è una editor del colosso Rba «e un'altra persona. A Milano mi ero chiusa, qui ho una cerchia che mi sostiene e su cui posso contare: se rimango a piedi, se devo cercare un idraulico... Sono passata da un'esistenza complicata e difficoltosa a un sogno».
Con 39 euro mensili si è fatta un'assicurazione che le consente di scegliersi il medico che vuole, all'ora che vuole e con altri 30 euro può disporre delle strutture del polideportivo pubblico. Ce n'è uno per quartiere, comprende anche la piscina riscaldata e si parla già di lusso, di soldi extra da mettere in comodità o da risparmiare in vista del «Frenazo», parola con qui definiscono la crisi che sta per arrivare anche nel mondo ideale. Per il primo affitto vanno investiti dai 300 ai 400 euro, stanza confortevole, secondo il tariffario di www.loquo.com e le esperienze raccolte da Massimo Capoccetti nel suo sito wwww.italianiabarcellona.it, una bibbia per emigranti. Sul blog c'è chi si dà appuntamento per il 2011, partenza organizzate verso la meraviglia, anche se Massimo ride quando i giornali parlano di «Eldorado». Ingegnere informatico, assunto da Londra, alla Quantum di Barcellona, avverte che la fase «baretto», quella spacciata nell'ultimo film di Woody Allen «Vicky Cristina Barcelona», dura poco.
«Vedo una grande rotazione, un conto è arrivare affascinati dall'onda di creatività, un altro aspirare a qualcosa. Difficile crescere. E' comodo, facile, bello poi però non è che traslocare risolva tutto. E se non sai il catalano il limite arriva presto». Carlo Ferri, astronomo, il catalano l'ha studiato e ha scelto Barcellona per il suo dottorato anche se «so che l'università italiana ha più storia e la ricerca è più avanti, ma lì non ci sono fondi per noi e per avere una borsa di studio devi vincere un concorso. Qui basta presentare i requisiti giusti e in più c'è un overdose di finanziamenti universitari, un dottorando può prendere 1300 euro al mese». La lista dei motivi per trasferirsi la continua Raffaello Ducceschi: designer piombato in Catalunya quattro anni fa: «Perché qui se sbagliano a calcolarti le tasse ti risarciscono in 15 giorni. Perché vivo a 40 km da Barcellona e ho un treno ogni 15 minuti, sempre puntuale. Perché si, è vero, il boom starà pure finendo ma prima che riescano a mettere tutti i vincoli che ci sono in Italia ce ne passa di tempo».
Quello che manca agli espatriati è lo stile, perché, l'assenza di dress code e non solo, conquista all'inizio poi un po' tutti abbassano lo sguardo e cedono: «Sì la città è sporca, spesso trovi persone maleducate. Stanno al minimo delle formalità nel bene e nel male». Per questo trapiantano pezzi di Italia, nelle piadinerie a Barceloneta, nelle Delicatezze, nome con cui Adriano ha battezzato la gastronomia dietro la Cattedrale, nella cura con cui Silvano Ferrari gestisce la biblioteca dell'Istituto italiano di cultura, nella creatività con cui Gigi Colaci e Guido Frisotti hanno tirato su «La Cova de les cultures», un'associazione che lega Barcellona all'Italia. Duecento metri quadri nel quartiere Gracia dove assistere a performance, concerti, spettacoli e Gigi, che viene dal Salento ricorda: «Dalle mie parti, per avere i permessi, sarei dovuto andare dall'amico dell'amico. Qui sono entrato in comune. Questo non è il paese dei balocchi, tutti si sentono artisti solo perché stanno in strade trendy. Quello è turismo. Parliamo di una città che ha voglia di crescere e cerca energie, noi italiani le portiamo. Andiamo d'accordo con il clima, la lingua e lo sappiamo che i prezzi stanno aumentando. Solo che possiamo ancora stare dietro al nostro progetto. C'è spazio per le idee».
La nuova America è vicina e calda, tiene i suoi sogni a portata e li vende benissimo. Basta un volo rapido e dall'Italia arrivi dentro quella che per molti, oggi, è la terra delle opportunità: Barcellona. La sua Ellis Island sta a Barceloneta, sempre vicino al mare, ma questo edificio in restauro, al numero due di Avenida Marques de l'Argentera, è un porto più sicuro e semplice, tanto che non è mai diventato un simbolo. E' un passaggio obbligato che non lascia memoria: una mattina di coda ed esci dall'Aministration General de l'Estero, con tutto quel serve per vivere dove 21.655 italiani hanno scelto di stare. Tre pezzi di carta per un altro inizio ed è uno dei motivi per cui questa è la città prescelta: la burocrazia è quasi inesistente. Serve l'empadronamiento, il domicilio, il numero di securidad social e il Nie, il foglio di via per l'avventura spagnola. E' il numero di identificazione per gli stranieri, necessario per aprire un conto in banca, dimostrare che esisti, un codice e non servirà più altro. In meno di un'intera giornata sei in regola e lo resterai perché da queste parti anche l'ultimo impiego in un call center è contrattualizzato.
Stipendi bassi e ferie retribuite, il licenziamento arriva altrettanto facilmente perché il datore di lavoro deve solo dimostrare che non servi più all'azienda. Però nel frattempo puoi permetterti qualche giorno di malattia senza perdere il posto. E' il primo passo, quello dopo lo sbarco di chi ha scelto Barcellona per la fiesta loca, chi ha vent'anni e strascica l'Erasmus vendendo aspirapolvere al telefono e servendo cerveza nei locali del Born, il quartiere che Fabio Volo aveva scelto come base per il suo programma su Mtv, «Italo-spagnolo». La manodopera serve nella città che ha ancora un boom da gestire e si sente Milano negli Anni Ottanta, senza Craxi e la rucola. La Catulunya è la Lombardia della Spagna, gente che lavora e rispetta le carreggiate, ma l'analogia, che pure i locali ripetono a qualsiasi italiano inizi a integrarsi, finisce sulla porta dell'ufficio perché lì c'è la vera magia del posto. Non la movida, che inizia ad annoiare pure loro, non il pan con tomato, la bruschetta autogestita che ti portano al tavolo con gli ingredienti ancora separati, ma la rete di sostegno che permette a una ragazza che ha perso il lavoro di trovarne un altro in un pomeriggio.
Ella Sher ha una storia perfetta per spiegare come mai l'ultima migrazione di italiani a Barcellona, quella archiviata come record dall'ultimo censimento del 2008, è fatta di neolaureati, forza vitale che si sente più sicura altrove. Ella, a Milano, era precaria alla casa editrice Adelphi, prestigio, eleganza e zero possibilità. Dopo stage e collaborazioni ha chiesto: «Quali sviluppi per il mio futuro qui?». Nessuno. E allora Barcellona, con in tasca un corso di lingua all'Istituto Cervantes. L'idea e i primi indirizzi sono arrivati da un'amica conosciuta alla fiera del libro di Francoforte: «Ho avuto aiuto, però ho spedito il curriculum e ottenuto 9 colloqui in un solo giorno e un contratto di 6 mesi da trasformare in definitivo dopo il periodo di prova. Poi mi sono sentita dire: mi dispiace, non abbiamo più bisogno. Solo che non ho fatto in tempo a starci male, nel giro di due mail avevo un nuovo posto». Oggi è una editor del colosso Rba «e un'altra persona. A Milano mi ero chiusa, qui ho una cerchia che mi sostiene e su cui posso contare: se rimango a piedi, se devo cercare un idraulico... Sono passata da un'esistenza complicata e difficoltosa a un sogno».
Con 39 euro mensili si è fatta un'assicurazione che le consente di scegliersi il medico che vuole, all'ora che vuole e con altri 30 euro può disporre delle strutture del polideportivo pubblico. Ce n'è uno per quartiere, comprende anche la piscina riscaldata e si parla già di lusso, di soldi extra da mettere in comodità o da risparmiare in vista del «Frenazo», parola con qui definiscono la crisi che sta per arrivare anche nel mondo ideale. Per il primo affitto vanno investiti dai 300 ai 400 euro, stanza confortevole, secondo il tariffario di www.loquo.com e le esperienze raccolte da Massimo Capoccetti nel suo sito wwww.italianiabarcellona.it, una bibbia per emigranti. Sul blog c'è chi si dà appuntamento per il 2011, partenza organizzate verso la meraviglia, anche se Massimo ride quando i giornali parlano di «Eldorado». Ingegnere informatico, assunto da Londra, alla Quantum di Barcellona, avverte che la fase «baretto», quella spacciata nell'ultimo film di Woody Allen «Vicky Cristina Barcelona», dura poco.
«Vedo una grande rotazione, un conto è arrivare affascinati dall'onda di creatività, un altro aspirare a qualcosa. Difficile crescere. E' comodo, facile, bello poi però non è che traslocare risolva tutto. E se non sai il catalano il limite arriva presto». Carlo Ferri, astronomo, il catalano l'ha studiato e ha scelto Barcellona per il suo dottorato anche se «so che l'università italiana ha più storia e la ricerca è più avanti, ma lì non ci sono fondi per noi e per avere una borsa di studio devi vincere un concorso. Qui basta presentare i requisiti giusti e in più c'è un overdose di finanziamenti universitari, un dottorando può prendere 1300 euro al mese». La lista dei motivi per trasferirsi la continua Raffaello Ducceschi: designer piombato in Catalunya quattro anni fa: «Perché qui se sbagliano a calcolarti le tasse ti risarciscono in 15 giorni. Perché vivo a 40 km da Barcellona e ho un treno ogni 15 minuti, sempre puntuale. Perché si, è vero, il boom starà pure finendo ma prima che riescano a mettere tutti i vincoli che ci sono in Italia ce ne passa di tempo».
Quello che manca agli espatriati è lo stile, perché, l'assenza di dress code e non solo, conquista all'inizio poi un po' tutti abbassano lo sguardo e cedono: «Sì la città è sporca, spesso trovi persone maleducate. Stanno al minimo delle formalità nel bene e nel male». Per questo trapiantano pezzi di Italia, nelle piadinerie a Barceloneta, nelle Delicatezze, nome con cui Adriano ha battezzato la gastronomia dietro la Cattedrale, nella cura con cui Silvano Ferrari gestisce la biblioteca dell'Istituto italiano di cultura, nella creatività con cui Gigi Colaci e Guido Frisotti hanno tirato su «La Cova de les cultures», un'associazione che lega Barcellona all'Italia. Duecento metri quadri nel quartiere Gracia dove assistere a performance, concerti, spettacoli e Gigi, che viene dal Salento ricorda: «Dalle mie parti, per avere i permessi, sarei dovuto andare dall'amico dell'amico. Qui sono entrato in comune. Questo non è il paese dei balocchi, tutti si sentono artisti solo perché stanno in strade trendy. Quello è turismo. Parliamo di una città che ha voglia di crescere e cerca energie, noi italiani le portiamo. Andiamo d'accordo con il clima, la lingua e lo sappiamo che i prezzi stanno aumentando. Solo che possiamo ancora stare dietro al nostro progetto. C'è spazio per le idee».
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/societa/200901articoli/39799girata.asp
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